Ho ricevuto la diagnosi di HIV in ospedale, dove ero stata ricoverata per una polmonite che non voleva passare. Il medico ha deciso di fare tutti gli accertamenti, fra questi anche il test per l’HIV, che è risultato positivo. Sono entrata in ospedale in autunno e ne sono uscita in inverno; nel mezzo il Natale, che i medici mi hanno fatto fare a casa. Come ogni anno l’appuntamento era con tutta la famiglia da mia nonna, per il pranzo del 25. Saputo della mia presenza, però, uno dei miei parenti mi scrisse che non se la sentiva di venire, vista la mia situazione di salute. Non tanto per lui, quanto per la sua bambina. Inutile dire che provai a fargli capire che non c’erano rischi di contagio, ma non volle sentire ragioni. Lui non venne, e io non rinunciai ad andare. A distanza di mesi però mi chiamò per scusarsi: “ho agito per ignoranza, non sapevo nulla di HIV e ho avuto paura. Per mia figlia più che per me”. Ecco, vivo con l'HIV ormai da diversi anni e posso dire che chi mi ha allontanato è perché non conosceva o non voleva conoscere, comprendere. E questo, tutto sommato, è anche un buon modo per capire chi vale la pena di frequentare e chi no, chi ti vuole bene.
A parte questo episodio all’inizio, quando poi l’ho detto ai miei amici chi non sapeva mi ha chiesto, mi ha fatto domande sulla trasmissione, sulle terapie. C’è molta differenza fra quella che era la situazione delle persone HIV+ negli anni Novanta e quella di oggi, ma sembra che la maggior parte delle persone sia rimasta ferma a quelle informazioni. Se però le persone hanno voglia di comprendere capiscono che oggi si tratta di una malattia paragonabile alle patologie croniche e che chi ha l’HIV e si cura può vivere una vita normale. Oggi non mi capita di essere percepita come una persona malata o di essere commiserata. Io non me la sento addosso questa malattia, ed è così anche grazie alle terapie che mi consentono di mantenere la carica virale sotto soglia di rilevabilità e all’infezione di non progredire. È diverso per le persone che hanno preso l’HIV tanti anni fa: mi è capitato di conoscere persone che ce l’hanno davvero addosso. Perché sono state stigmatizzate, escluse, hanno vissuto il panico di essere condannate. Io no, per fortuna. Faccio tutto quello che voglio fare come l'ho sempre voluto fare, anzi forse con uno stimolo in più. Va bene, adesso ho una diagnosi di sieropositività, ma come dice la parola stessa io rimango sempre positiva.